Sente sulle sue spalle il peso – ma anche l’onore – di un compito che prima di lui non ha avuto nessun centrafricano: da quando p. Federico Trinchero è tornato in Italia, eletto Superiore Provinciale dai confratelli Carmelitani Scalzi della Liguria, il nuovo Superiore Delegato in Centrafrica è p. Mesmin Dingbedi. Classe 1977, p. Mesmin ha sempre pronto un sorriso solare e rassicurante: difficile immaginare la sua storia dolorosa e le cicatrici del suo Paese con cui fa i conti ogni giorno, e che cerca di guarire con il lungo e paziente lavoro di missionario. Un cammino fatto di fede e di formazione, con l’obiettivo di portare l’istruzione ai giovani centrafricani e di dare opportunità di sviluppo a una delle nazioni più povere del mondo. Così, dopo cinquant’anni di missione, il ruolo di Superiore Delegato è andato per la prima volta a un centrafricano: “È giusto che sia così – aveva commentato p. Federico sullo scorso numero di Amicizia Missionaria – sono convinto che sia giunto il momento di passare il testimone. I missionari italiani rimarranno sul posto, ma dobbiamo responsabilizzare di più chi in Centrafrica è nato”.

P. Mesmin, con lei inizia dunque un nuovo capitolo nella storia delle missioni. È emozionato?

Molto, adesso tocca a noi essere responsabili: il mio lavoro andrà avanti nel segno della continuità di quello dei missionari prima di me. Loro hanno seminato, adesso dobbiamo prenderci cura dei germogli. Questo nuovo incarico è una bella sfida da portare avanti, sicuramente con la collaborazione dei confratelli della nostra provincia ligure. Mi metto a disposizione con grande spirito di servizio.

Partiamo dall’inizio: com’è nata la sua vocazione?

È nata quando ero un bambino in Centrafrica, allora seguivo il gruppo “Tutti fratelli” legato alla chiesa del mio villaggio, era un punto di aggregazione. Ricordo in particolare una volta in cui per la recita di Natale mi chiesero di interpretare Daniele Comboni, missionario vissuto nell’800 e fondatore dei Comboniani. Per me fu un onore e mi divertii molto. In seguito mi venne chiesto se mi sarebbe piaciuto entrare in seminario, accettai e così nel 1994 iniziò la mia avventura: avevo 17 anni.

Poi, pochi anni più tardi, una delle prove più dure.

Mi venne diagnosticato un tumore. Grazie a Dio con le cure sono riuscito a guarire, ma è stata una grande prova. Ricordo quando mi giunse la notizia della mia malattia: era il 1996, ero in seminario, e stavo giocando a pallacanestro con i miei compagni. Ero in un’età in cui generalmente non si pensa a queste malattie, tuttavia ho accolto questa nuova condizione e mi sono affidato al Signore, con fiducia nei medici e in tutte le persone che mi hanno aiutato. Successivamente, nel corso della mia vita, mi è capitato di incontrare malati che avevano bisogno di sostegno spirituale e morale: ho cercato di stare loro vicino, ascoltandoli e spiegando che ci sono passato anche io, ci vuole pazienza, fiducia in Dio e nella medicina.

Nel frattempo il suo cammino spirituale è continuato…

Sì, nel 2014 sono diventato priore del convento dei Padri Carmelitani Scalzi a Bangui. È stato un periodo impegnativo, soprattutto quando per tre anni abbiamo accolto i profughi in fuga dalla guerra: un’esperienza intensa e difficile, ma siamo riusciti ad aiutare circa seimila persone che erano scappate dai quartieri vicini e si sono rifugiate nel nostro convento. Ad aiutarci? Le Ong certamente, ma anche la fraternità, il grande spirito di unità che ci contraddistingue e la preghiera. Se noi frati non fossimo stati così uniti, sarebbe stata una prova quasi impossibile.

Poi gli studi a Roma, e adesso si torna a casa.

Sì, dopo due anni di studi di Teologia Morale a Roma torno in Centrafrica con un incarico importante: il primo obiettivo è ascoltare i confratelli e imparare dai più anziani.

Il nuovo incarico è stato una sorpresa?

Sì, non me lo aspettavo, ero concentrato sugli studi. Dopo il Capitolo Provinciale ho raggiunto Arenzano il 23 giugno e il giorno dopo il Padre Provinciale mi ha suggerito questo nuovo incarico. L’ho accettato, per me è un servizio e una grande responsabilità. Ho imparato molto dai miei confratelli: la fraternità, la generosità, la cura dei più fragili. Cercherò con l’aiuto di Dio di farmi guidare da questi esempi positivi, sempre con grande spirito di servizio. Non dimenticherò le parole di padre Carlo Cencio, uno dei fondatori della missione: “Sei il primo, farai bene. E anche coloro che verranno dopo, faranno bene”.

Su quali temi vuole lavorare in Centrafrica? 

Ci sono tante cose da fare, ma vorrei dirigere il mio impegno principalmente su due filoni: il primo è la formazione dei giovani, poi vorrei diffondere la testimonianza del nostro stile di vita all’insegna della solidarietà e della pace. Quella che svolgiamo in Centrafrica  è una vera attività sociale: con le scuole, specialmente quella agricola, diamo ai ragazzi uno strumento per crescere lontano dalla violenza. Se i giovani non studiano hanno più probabilità di essere manipolati e di farsi corrompere dalla violenza: per questo l’istruzione è così importante.

Valentina Bocchino