La fortuna ha messo sul mio cammino p. Davide Sollami e le missioni dei Padri Carmelitani in Centrafrica anni fa. Forse più che la fortuna direi una buona dose di indole chiacchierona da parte di mia mamma, la bellezza del Santuario del Bambin Gesù e di Arenzano, che è sempre stato il posto più vicino per assaporare aria pulita e scappare dalla città. Fin da piccola volevo provare questa tipologia di viaggio ed ero consapevole di voler fare un’esperienza al massimo delle mie capacità, scoprire e condividere con altri volontari un progetto di aiuto e fede diverso dal solito, lontano dalle nostre case e parrocchie.

Finalmente dopo la pandemia riesco a cogliere l’invito di p. Davide, ma non senza innumerevoli dubbi: sarò in grado di affrontare un mondo tanto lontano da me? Come potrò essere utile? Mi sembrano domande legittime ma che non fermano la mia voglia di fare e lavorare.

Durante il corso di preparazione ho iniziato a conoscere i miei compagni di viaggio e ho pensato fin da subito che anche quella volta ero stata fortunata perché sul mio cammino erano capitate persone splendide. Non solo condividevo con loro l’obiettivo comune della beneficienza e, come poi ho scoperto, anche le preoccupazioni, ma ho trovato uomini e donne che mi hanno trasmesso sicurezza e passione per la propria professione.

Lavorando tutti i giorni come tecnico di laboratorio ospedaliero, avrei sicuramente avuto tanto da imparare dai miei colleghi, soprattutto dalla dottoressa Francesca Calcagno, con alle spalle esperienze in diversi paesi africani. Dopo aver definito i nostri compiti dovevamo solo familiarizzare con il sango, la lingua locale, e imparare bene l’itinerario delle missioni che avremmo incontrato lungo il percorso: Bangui, la capitale, Baoro, Yolé e Bozoum meta finale e casa per i dieci giorni successivi. Nonostante la triste notizia di p. Norberto a due settimane dalla partenza, ci avesse spiazzato, impaurito e anche costretto a modificare l’itinerario, alla partenza eravamo impazienti di iniziare i nostri progetti. Strade dissestate e Jeep cariche di valigie sono state la parte più faticosa al nostro arrivo, ma anche una delle esperienze che abbiamo raccontato con più entusiasmo al nostro ritorno in famiglia. La mattina cariche di farmaci e di pazienza, la dott.ssa Francesca ed io abbiamo iniziato il nostro incarico al dispensario della missione.

I malati si presentavano numerosi, fino a novanta consultazioni al giorno: abbiamo curato ferite e piaghe, malaria e problemi gastrointestinali di vario genere.

Abbiamo spiegato l’importanza della cura, dal mal di testa più leggero a mali di cui, purtroppo, abbiamo potuto solo consigliare visite più specifiche.

P. Stefano, parroco di Baoro, è stato un ottimo punto di riferimento e un aiuto importante per noi. Ha riportato liste di pazienti sotto controllo per diverse malattie, come diabete ed epilessia, e insieme abbiamo cercato di capire come poter sfruttare al meglio il poco tempo che avevamo.

Nei nostri pomeriggi, invece, ci siamo unite al resto del gruppo, e in particolare a Sara Damonte e Lazzaro Calcagno, attori bravissimi e educatori di eccellenza che hanno portato il teatro nella scuola elementare di Baoro, così come fanno ad Arenzano. Facendo giocare i bambini, hanno insegnato loro l’importanza del lavoro di squadra e la capacità di usare la propria voce, lo sguardo e tutto il corpo per farsi ascoltare dai propri compagni. Mariagrazia Gennai e Silvia Di Già hanno aiutato nella scuola materna, mentre Cristina Carbotti e Vera Baiardi, rispettivamente affermate giornalista e fotografa, hanno raccolto storie di personaggi e immagini incredibili. Infine Renato Affri, esperto imprenditore lombardo, aveva sempre le mani impegnate in qualcosa da aggiustare.

Così programmando di giorno in giorno le nostre attività, il tempo è volato via veloce, tra il lavoro e chiacchierate dopo cena nel chiostro della missione. Era lì che ci confidavamo dubbi, perplessità e anche i vari aneddoti delle giornate vissute.

Consapevoli che purtroppo un aiuto di poche settimane non avrebbe potuto risolvere i mali che affliggono il paese, ci siamo concentrati sui rapporti con le persone che incontravamo e abbiamo cercato di creare interazioni che andassero al di là delle differenze culturali. Ognuno di noi è stato in grado di farlo a modo suo e svolgendo semplicemente la propria professione.

Personalmente ho trovato questo spirito di unione nella partecipazione ai riti religiosi come la Via Crucis e la Messa, ma anche nelle nostre visite al mercato, nei villaggi e condividendo spazi come la cucina o l’oratorio e, banalmente, ma mai scontato, in un sorriso e un saluto in sango. Spesso abbiamo usato la musica e la danza come mezzo di comunicazione quando la lingua e la gestualità non ci venivano in aiuto. Così come nella nostra realtà, anche nel cuore dell’Africa la condivisione e il confronto creano legami semplici ma duraturi e significativi. Ho lasciato una valigia piena di colori, quaderni e vestiti da donare e sono tornata a casa con lo zaino leggero e il cuore pieno di sorrisi e ringraziamenti reciproci difficili da spiegare, ma facili da vivere.

Al rientro in Italia il gruppo si è ripromesso di aiutare le Missioni anche da lontano, raccogliendo ciò che, ora sappiamo per esperienza, può mancare e ovviamente senza mai perdere l’entusiasmo che ci ha contraddistinto.

“Destinazione Bozoum” rimane il nome del nostro gruppo e anche se in quella città, purtroppo, non siamo mai arrivati, sento dopo mesi di poter affermare di aver in qualche modo raggiunto la nostra meta.

Virginia Balzano