Durante la permanenza nel Cuore dell’Africa (questo è il nome che i centrafricani danno al loro paese) mi è capitata una cosa strana: ho visitato due volte lo stesso posto in luoghi diversi…

«Questo è il posto più bello del Centrafrica!». Padre Federico non ha dubbi quando mi mostra la chiesa di “San Paolo delle rapide”, la prima chiesa cattolica del paese. Qui la bellezza è nel significato del luogo oltre che nel paesaggio e nella costruzione in mattoni rossi affacciata sul fiume Oubangui. L’ambiente è ancora selvaggio e guardandosi attorno si possono facilmente immaginare quei missionari che, più di cento anni fa, hanno lasciato sulla sponda del fiume le loro lunghe piroghe per annunciare il Vangelo. Con la loro parola hanno cambiato il Cuore dell’Africa portando vento di vita nuova.

«Questo è il posto più bello del Centrafrica!». Pure padre Aurelio non dubita quando mi parla delle risaie di Bozoum e, visitandole con padre Matteo e alcuni dei responsabili della cooperativa che le segue, ho avuto lo stesso pensiero. Il riso, cullato dal vento, ondeggiava alla luce del sole e i canali d’irrigazione, pieni d’acqua gorgogliante, contornavano il tutto come fossero una cornice dai colori in continuo movimento… il quadro era davvero di rara bellezza. Anche in questo caso non era solo il paesaggio a essere bello, ma la sua storia. Le risaie sono state infatti recuperate dai centrafricani dopo che erano cadute in disuso. Ci sono ancora progetti e miglioramenti da realizzare, ma qui la bellezza si trova negli uomini e nelle donne che con tenacia credono ogni giorno nel loro lavoro e non si arrendono davanti alle difficoltà.

 

I missionari non sono una Ong

Più volte papa Francesco ha ricordato che la Chiesa non è una Ong e, nonostante i progetti che i nostri frati portano avanti potrebbero farlo pensare, i missionari sono un’altra cosa.

Mi trovo a Baoro, la nostra missione e padre Stefano m’invita a fare due passi in città. Sono un po’ timoroso, però penso a padre Maurice che fatica nella ricerca di un insegnante per la scuola di meccanica e a padre Odilon che sta preparando il pellegrinaggio parrocchiale, così mi faccio coraggio e mi avvio dicendomi che pure io devo fare qualcosa per mangiare, altrimenti il mio santo patrono avrebbe una ragione in più per rimproverarmi.

Lasciata la polverosa strada davanti alla missione, padre Stefano mi porta da una signora di sua conoscenza. La incontro e ho un piccolo sussulto: è anziana e cieca. Padre Stefano mi spiega che ha preso con sé i suoi due nipoti dopo che la figlia li ha abbandonati per andare a vivere in un’altra città con un altro uomo. Quando i nipoti sono in casa la assistono e la curano loro, nonostante siano in tenera età.

Fortunatamente oggi in casa c’è la nipote più grande che ci accoglie con gioia e ci mostra i quaderni di scuola che può frequentare grazie agli aiuti dei nostri missionari. Ci invitano a entrare nella loro casa, quattro mura di mattoni secchi, rossi all’esterno e neri per il fumo all’interno. L’appartamento è un monolocale senza servizi igienici, con la cucina in un angolo, le stoviglie nell’altro angolo e i letti nei due angoli rimanenti. Non c’è nulla di valore se non le coperte che usano per coprirsi dal freddo e qualche pentola in alluminio tutta storta. Tocco con mano la povertà scoprendo che può essere piena di generosità e accoglienza. Mentre le due donne parlano con padre Stefano capisco che la nonna vive passando la maggior parte del tempo ad aspettarli per poter mangiare con loro un boccone, quanto basta per levare un po’ di fame. Trascorre il tempo pregando per loro perché la cecità non le permette di fare di più e ha imparato a guardarli con gli occhi della fede. Confida a padre Stefano che aspetta volentieri i nipoti sopportando la fame con pazienza perché, grazie all’istruzione, potranno avere un futuro migliore del suo. Ne è davvero contenta ed è grata ai nostri missionari che permettono loro di frequentare scuola e asilo.

Questo è solo uno dei tanti aiuti sociali che con umiltà i nostri padri portano avanti. Alcune opere sono più evidenti, altre nascoste. Penso a padre Norberto che a Bozoum con calma ascolta la fila di persone che bussano alla porta della missione in cerca di aiuto. Oppure a padre Matteo che lava i vestiti a Gautier, giovane disabile senza famiglia. I nostri missionari non sono una Ong perché a nessuno di loro va incontro così tanta gente come a un missionario, nessuno di loro entra nelle loro case. I nostri missionari non sono una Ong perché i loro progetti non si fermano davanti alle prime difficoltà, costruiscono sulla Roccia, non crollano alla prima pioggia e non si fermano quando termina l’orario lavorativo. No, la missione non è una Ong perché non porta se stessa bensì il Vangelo che salva davvero gli uomini nella loro povertà.

Padre Paolo Arosio