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La storia di Révocat Habiyaremye parte da molto lontano. Concepito in Ruanda, terra che non abiterà mai, è nato in Zaire nel campo profughi di Bukavu, durante la fuga dal suo paese d’origine, infiammato dal genocidio tra Hutu e Tutsi. Il passaggio da un campo profughi all’altro lo porta per la prima volta in Centrafrica, a Bossangoa. Frequenta per alcuni anni il seminario carmelitano a Yolé, ma la vocazione religiosa non fa per lui e sogna di diventare ingegnere.

Fa gli studi tecnici a Bangui, la capitale del Centrafrica. Una borsa di studio donata dall’Italia gli dà la possibilità di iscriversi all’Università di Douala, in Camerun. Qui ottiene la Licenza e il Master di Ingegnere dei lavori.

Quando era tra i banchi di scuola non immaginava di diventare il responsabile di quaranta manovali e quattordici muratori. Oggi è capocantiere al Carmel di Bangui per la realizzazione del nuovo convento carmelitano. Con soddisfazione dice che, grazie a operai abili, i lavori avanzano bene: le fondazioni sono fatte e i primi muri si alzano già verso l’alto…

Quest’opera è di grande importanza perché contribuisce alla costruzione del Carmelo e della Chiesa in Centrafrica. È una bella iniziativa che si distingue come esempio di architettura in questo Paese. Sarà come una gemma e sicuramente ci saranno visitatori interessati a vedere questa costruzione-modello. In città ci sono tanti cantieri in corso, ma questo è diverso rispetto alle costruzioni che si trovano dappertutto, fatte in ‘cemento su cemento’. Questa casa ha una sua particolarità: è fatta con la terra del posto, un’opera radicata veramente nella tradizione nelle costruzioni tradizionali. È naturale”, ci tiene a dire. I mattoni infatti sono fatti con la laterite presa nella proprietà della stessa missione. Una volta setacciata, viene pressata con una macchina acquistata in Sudafrica. I mattoni che escono sono crudi, ma una volta asciutti hanno una resistenza ottimale per costruire pareti alte fino a 4 metri; sono belli per fare muri a vista, senza intonaco e si montano a secco, senza cemento perché sono ad incastro. Inoltre isolano dal caldo, caratteristica che nei Paesi equatoriali è apprezzata moltissimo.

Difficoltà ce ne sono state fin dall’inizio del cantiere. Per un giovane da poco laureato, non è stato facile trovare lavoro. “Senza esperienza professionale le imprese non ti vogliono”, dice. Ma Révocat trova lavoro presto e, ancora più inaspettatamente, riceve la proposta di dirigere il cantiere. Oggi può dire che, poco a poco, sta lasciando alle spalle le prime difficoltà. Il nuovo lavoro gli permette di spostarsi in moto e, soprattutto, di mettere da parte dei risparmi per formare famiglia. Vige ancora l’usanza che se vorrà sposare la sua fidanzata dovrà pagare la dote ai futuri suoceri.

Sono capocantiere di operai che potrebbero essere miei fratelli maggiori o addirittura mio padre. Ho faticato perché il mio ruolo fosse rispettato. Ma con il tempo ho ottenuto la giusta considerazione.

Ho sempre sognato di partecipare allo sviluppo del Paese. Anche se non sono nato in Centrafrica, mi sento centrafricano per cultura e formazione e qui voglio essere un operatore di pace. Quest’opera, che nel progetto comprende anche una chiesa, è un passo avanti per il Centrafrica e la Chiesa in questa terra. Non so quando finiremo, ma sarà un piacere tornare sul posto – dice con gli occhi che brillano – e vedere che anch’io avrò partecipato ad un progetto importante e unico”.

P. Davide Sollami