In Centrafrica sembra che l’orario non sia disciplinato dall’orologio, forse perché, come dice il proverbio, “noi abbiamo gli orologi, gli africani hanno il tempo”. Ecco una simpatica pagina tratta dal diario di p. Nicolò.

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Qualche volta è piacevole, altre volte meno adeguarsi al ritmo e al senso del tempo e delle vicende, nei piccoli e sperduti villaggi di certe missioni. In Centrafrica, pur non essendo impossibile, è molto difficile realizzare un programma prefissato o stare a un orario disciplinato dall’orologio. Parlare di “ore 6” per la mentalità dei fedeli non ha un preciso significato. Dovrò semplicemente sollevare il braccio (che per tanti africani sostituisce la lancetta delle ore) all’altezza dell’orizzonte a oriente: indicherò così esattamente l’alba (na nda pelele ovvero il “sole appena sopra l’erba”); alzandolo gradatamente indicherò, ora dopo ora, la mattinata. Rendendolo perpendicolare indicherò il mezzogiorno (kota la ovvero “gran sole”). Riabbassandolo a poco a poco a occidente esprimerò le ore del pomeriggio fino al tramonto (lakwi ovvero “il sole muore”). Il sole diventa così l’orologio più esatto, più economico, più automatico e sicuro che moltissimi Africani (e non solo) possano e sappiano utilizzare. Per la notte? La notte è fatta per dormire. S’incaricherà il gallo, domattina, di annunciare il ritorno del sole.

In parecchi villaggi in cui vado, non c’è nessuno che abbia un orologio. Ciò non toglie, anzi giustifica la smania che molti hanno di arrivare a conquistarselo. Specialmente i giovani o coloro che possono disporre di uno stipendio, ne fanno il primo traguardo dei loro desideri, a costo di sacrifici. In certi villaggi, i calendari sono richiesti se illustrati: allora se ne ritagliano le figure, s’appiccicano alle pareti della capanna ed eccoli utilizzati. I “bianchi” non si accorgono neppure in quale ginepraio si sono cacciati con le loro date, i loro dati, la minuziosità ossessiva con cui registrano l’era, il secolo, l’anno, il mese, il giorno, l’ora, il minuto e il secondo delle grandi, come delle piccole, imprese proprie e altrui.

Nelle zone di cui vi parlo tutto è più semplice, perfino troppo semplice. Sino a pochi anni fa, e in parecchi villaggi ancora oggi, quasi nessuno sapeva l’anno, il mese, il giorno della propria nascita o della morte di qualcuno. Ancora frequenti sono i casi in cui il missionario è obbligato, seduta stante, a dar un’età a bambini, ragazzi e adulti. La realtà è che si accorgono ogni giorno di più che la “libertà” dei bianchi è fatta d’innumerevoli, piccole e grandi schiavitù mentre la propria cosiddetta “schiavitù” concede ancora piccole e grandi libertà di cui noi “civili” abbiamo perduto il senso e la gioia.

Un giovane africano mi diceva: «Voi bianchi credete di dominare tutto, ma non vi accorgete più di essere poi dominati voi stessi da tutto. Noi capiamo ancora le cose semplici, voi non le capite più. Non tutto nella nostra vita è brutto, come non tutto nella vostra è bello. Preferiamo ancora la nostra genuina felicità alla vostra complicata, insicura e non sincera grandezza». Chi ha vissuto in Africa non si sentirebbe di dargli torto.