Arrivato in Centrafrica nel 1982, a soli trent’anni, padre Marcello potrebbe distinguere la sua esperienza di missione in due periodi: vent’anni nei villaggi e la parrocchia di Bozoum e, dopo un anno sabbatico, altri diciassette dedicati alla formazione dei giovani, a Bouar, tra il seminario di Yolé e il convento di S. Elia.

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Nei villaggi di Bozoum

A Bozoum ho iniziato occupandomi di due settori della savana, sulle piste verso Paoua e Bocaranga. A introdurmi nel lavoro fu P. Marco Conte, che dopo due mesi e mezzo lasciò la missione. Sono contento di aver esercitato questo apostolato in diciannove villaggi, che mi è servito per avere una conoscenza della vita della gente, per lo più povera. Lo stato delle piste è sempre stato deplorevole, per cui era preferibile arrivare nei villaggi per passarvi la notte e poter celebrare la Messa al mattino. La capanna dove dormivo non sempre era ben coperta, per cui durante la stagione delle piogge dovevo spostare il letto qua e là per non bagnarmi.

Durante questo periodo ho organizzato incontri per approfondire alcuni temi di vita cristiana. Memorabile fu la “conferenza generale”, cioè di tutta la parrocchia di Bozoum, centro e villaggi, celebrata alla Pasqua 1984, in occasione dell’Anno Santo della Redenzione. Per quell’occasione furono dati i battesimi ai catecumeni e la Prima Comunione ai cristiani di tutti i cinque settori della brousse. Fu una notte di Pasqua meravigliosa! Il mattino si formò una lunga processione che dalla parrocchia attraversò tutta la città per salire sul Monte Binon, dove fu posta la statua di Cristo Redentore, grazie all’opera infaticabile di P. Vittorino Corsini. Quando si chiede a qualcuno in che data fu battezzato, può capitare di sentire come risposta: “Alla festa del Binon!”.

Per i giovani si organizzava anche un torneo di calcio che, da incontro, finiva spesso in uno scontro. Quando potevo, proiettavo dei film, soprattutto biblici. Tutto il villaggio era lì ad assistere, musulmani compresi. Con me portavo sempre una cassetta di medicinali per prestare alcune cure più elementari. Per venire incontro a questa necessità, con il responsabile di Bozoum dell’“Animazione rurale”, Pierre-Longin, provvedemmo diversi villaggi di cassette-farmacia. Un’altra iniziativa a cui pensammo, sia io che P. Domenico Rossi, fu quella di creare delle scuole di villaggio, poiché quelle statali erano veramente poche e i ragazzi erano costretti a percorrere diversi chilometri a piedi o a rinunciare alla scuola, soprattutto le bambine. Con Longin abbiamo cercato anche di lavorare nell’animazione rurale. Infatti la grande maggioranza della gente, che vive di agricoltura, usava degli attrezzi molto rudimentali. Così è stato incoraggiato l’uso dei buoi per arare, come pure l’uso dei concimi per le coltivazioni, come quella del cotone. Per le abitazioni, fatte con mattoni di argilla asciugati al sole, procuravamo le presse, così che i mattoni fossero più robusti. Grazie all’aiuto di qualche volontario italiano, ho potuto far costruire alcune cappelle.

Nella parrocchia “S. Michele” a Bozoum

Nel 1986 ci fu un cambiamento. P. Domenico Rossi, che a fine 1983 era diventato parroco, lasciò Bozoum per installarsi con i primi ragazzi nel nuovo seminario di Yolé a Bouar. Per questo presi il posto di parroco, che ho occupato per sedici anni. Per conoscere meglio i cristiani visitavo capanna per capanna, dando la benedizione e lasciando in ricordo un quadretto della Sacra Famiglia, pratica che ho ripetuto diverse volte. Ciò mi permise di conoscere meglio le necessità della gente, come quelle dei poveri e dei malati, a cui portavo mensilmente la Comunione, cosa che facevo anche per i prigionieri. Per loro feci sistemare la prigione, che era in uno stato deplorevole, e mettere una pompa d’acqua. Per i poveri fu creata la Conferenza di S. Vincenzo e acquistato un terreno per costruire loro delle casette. Per lavorare meglio nei settori della parrocchia, furono costruite tre cappelle. Il lavoro parrocchiale verteva innanzitutto sulla catechesi e sull’amministrazione dei sacramenti. Per questo era importante la formazione dei catechisti, formazione che impartivamo mensilmente. Ogni anno alcuni di loro erano mandati alle scuole a Bocaranga e a Ngaoundaye. C’era poi la formazione ai gruppi e movimenti cristiani. Fra questi movimenti c’erano i Focolari Cristiani e le Famiglie Nuove, che seguivo più particolarmente. Purtroppo la mentalità era ed è quella di differire il matrimonio religioso, se non di escluderlo del tutto, a parte la pratica della poligamia. Ciò provoca uno iato profondo nella vita sacramentale e cristiana di tanti giovani. Su questo tema ho redatto un libro in lingua sango: “I due diventeranno una sola carne”. Oltre ad avere avuto l’incarico dall’allora vescovo, mons. Armando Gianni, di presiedere la Commissione diocesana per la famiglia, ho cercato di aiutare altre parrocchie e le scuole dei catechisti con diversi corsi sul matrimonio. Un altro lavoro scritto a cui ho messo mano è il libretto di preghiere “Sambela” che, nel corso degli anni, è andato “a ruba” in diverse edizioni e ristampe.

Formazione a Yolé e S. Elia

Al mio ritorno dall’anno sabbatico, nel 2003, sono stato destinato al seminario di Yolé, nei pressi di Bouar, dove sono rimasto per due anni, per passare poi al convento di S. Elia, sempre a Bouar, per nove anni e ritornare ancora sei a Yolé. Nel seminario di Yolé ho lavorato per la formazione umana, cristiana e vocazionale di una settantina di adolescenti, specialmente dei più grandi del liceo. Mi era stata affidata come materia d’insegnamento “Educazione alla vita e all’amore” (EVA), insegnamento che, insieme al professore Yves Singa, abbiamo impartito anche in diverse sessioni nelle parrocchie della diocesi, pubblicando anche un libretto. Nel febbraio 2017, quando è diventato vescovo Mons. Mirek Gucwa, mi è stato affidato l’incarico di Vicario Generale della diocesi di Bouar. Pur essendo ancora necessaria la presenza di missionari, la nostra diocesi di Bouar sta crescendo sia come sacerdoti che come cristiani.

Si nota dappertutto una grande vivacità di aggregazione, il desiderio di incontri di preghiera, di ascolto della Parola di Dio. A questo scopo io stesso ho fatto parte dell’équipe incaricata della revisione del Nuovo Testamento in sango. Resta ancora importante il lavoro per l’approfondimento della vita di fede e di coerenza cristiana, in un contesto ancora “paganeggiante”, al tempo stesso influenzato da fattori negativi di “modernità”, come l’indifferenza religiosa. Rimane urgente il lavoro di base per fare penetrare meglio l’amore alla persona di Gesù e al Vangelo, con le sue esigenze di fede e di morale.

La parola dei Vescovi è sempre un fattore di conforto e di aiuto, soprattutto nei momenti più gravi che il Paese non smette di conoscere. Continuiamo a pregare per sostenere il popolo e la Chiesa centrafricana.

Padre Marcello Bartolomei