Papa Francesco ha nominato P. Aurelio Gazzera, missionario carmelitano scalzo in Centrafrica da 33 anni, Vescovo coadiutore di Bangassou. La notizia è stata resa pubblica dalla Sala Stampa della Santa Sede lo scorso 23 febbraio. È con la consueta fede, profonda e battagliera al contempo, che P. Aurelio si appresta ad affrontare il nuovo incarico.  Ecco il suo primo commento alla nomina.

 

Quando mi è stata annunciata la decisione del Papa, ho provato un misto di sentimenti contrastanti: paura, senso di inadeguatezza, gioia, fiducia in Dio e nella preghiera di tanti.

Sabato 3 febbraio ero nel sottotetto del nuovo convento di Bangui, dove stavo tirando fili e facendo collegamenti per l’impianto elettrico, quando arriva una chiamata.

È il segretario della Nunziatura che mi dice che hanno bisogno urgente di parlarmi e poi mi invita per il pranzo. Scendo in città e il Nunzio mi informa che il Papa mi ha nominato Vescovo coadiutore di Bangassou. E mi chiede se accetto. Potete immaginare il mio stato d’animo.

Bangassou è a Sud Est, all’opposto di Bouar. È una Diocesi di 135.000 km quadrati (l’Italia ne misura 302.000, poco più del doppio). Non ci sono praticamente vie per arrivarci (dista da Bangui 750 km, ma ci vogliono giorni e giorni di strada percorribile solo nella stagione secca). Il ministero del Vescovo è un impegno enorme. Sto leggendo qualche documento, ma per essere quello che il Vescovo deve essere, ci vorrebbero almeno quattro persone, e di quelle brave (non è il mio caso!). Per fare tutto quello che un Vescovo deve fare, ci vorrebbero giornate di 48 ore, come minimo.

Il Vescovo attuale Mons. Aguirre, guida la Diocesi dal 2000. È un grande pastore, molto coraggioso, capace e intraprendente, in un territorio che ha vissuto la guerra e tante sofferenze (due missioni sono ancora chiuse). E poi c’è la questione dell’Episcopato: più leggo e più mi sento piccolo, incapace e non all’altezza. “La consacrazione episcopale configura ontologicamente il Vescovo a Gesù Cristo come pastore nella sua Chiesa. In forza della consacrazione episcopale il Vescovo diviene sacramento di Cristo stesso presente e operante nel suo popolo, che mediante il ministero episcopale annunzia la Parola, amministra i sacramenti della fede e guida la sua Chiesa” (Direttorio Vescovi, Apostolorum successores, n°12).

E allora… ho accettato! Ho detto di sì per amore di Dio. E mi vengono alla mente le parole tra Gesù e Pietro, dopo la Risurrezione: “Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi ami?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle»” (Gv 21,17).

Ho accettato per amore della Chiesa. L’anello che il pastore porta è il segno di questa fedeltà. Dalla Chiesa ho ricevuto tutto: la Fede, la Speranza, la Carità.

Ho accettato per amore del Carmelo. S. Teresa d’Avila muore dicendo “sono figlia della Chiesa”. Nel Carmelo è nata la mia vocazione. Nonostante la mia miseria e i miei limiti, i Carmelitani sono sempre stati per me una famiglia: dai primi passi in Seminario (“pescato” da P. Anastasio), al noviziato (con P. Giulio maestro), allo studentato, al Seminario di Arenzano (guidato da P. Domenico e P. Giustino), fino alla Missione che è il grande dono che ho ricevuto dal Carmelo. Le prime notizie dai missionari in Centrafrica (P. Carlo in particolare), il primo anno a Bozoum, da studente con P. Domenico e P. Marcello, insieme a P. Roberto Nava nel 1982-83. E finalmente l’arrivo definitivo in Missione, nel 1992, dopo gli anni passati come assistente in Seminario (con ragazzi come P. Federico, P. Davide, P. Marco Chiesa, P. Marco Cabula, P. Enrico, P. Andrea Maria, P. Michele, fra Claudio, P. Angelo).

Ho accettato per amore del Centrafrica. È un paese “non facile”. Sono trentatré anni che il Signore mi ha fatto la grazia di viverci.

Non ho ancora capito tutto. Anzi! Ma lo amo, come amo la Diocesi che mi è affidata, data in sposa. Momenti di gioia, momenti di dolore. Un mosaico di bellezza e di sofferenza, di semplicità e di complicazioni. Di volti, di sorrisi, di bambini, di giovani e di adulti. Ho accettato e devo dire che non è stato facile. O meglio… accettare è facile, ma poi passo i giorni e le notti a pensare e a tremare. Ma anche a gioire. Dio, che ha voluto così, mi darà la grazia e la forza di lavorare nella sua vigna a Bangassou.

Sono cosciente dei miei limiti, ma sono ancora più cosciente della Misericordia del Signore, della grazia del sacramento e del dono dello Spirito Santo. E sono fiducioso nella preghiera e nella simpatia di molti che mi amano e mi stimano (spesso troppo!).

E comunque… rimango sempre e solo P. Aurelio, per favore!