Articolo di Paolo Vites pubblicato il 26 dicembre 2021 su Il Sussidiario

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Il Centrafrica vive ancora il dramma di anni di sanguinosa guerra civile ma i carmelitani, qui presenti da 50 anni, non fermano la loro missione.

Uno dei paesi più poveri in assoluto al mondo, con un reddito pro capite tra i più bassi, ma paradossalmente, sulla carta, tra i più ricchi, grazie alle ingenti risorse naturali quali oro, diamanti e uranio: è la Repubblica Centrafricana. Risorse malamente sfruttate e addirittura rubate: quasi il 50% della produzione di diamanti lascia il paese in modo clandestino. Istituzioni instabili, dove si succedono i colpi di Stato, una lunga e sanguinosa guerra civile che ha messo contro cristiani – che qui sono la maggioranza della popolazione – e musulmani, e corruzione, nepotismo, autoritarismo dilaganti.

Proprio nei giorni precedenti il Natale la missione dell’Unione Europea, presente con diverse migliaia di soldati, ha lasciato il paese per l’arrivo dei miliziani russi della Compagnia Wagner: “Non sappiamo cosa comporterà: sicuramente i russi hanno liberato le regioni dove ancora erano in corso conflitti e violenze, ma quale prezzo dovremo pagare non lo sappiamo, adesso che da ex colonia francese rischiamo di passare sotto il controllo russo” ci ha detto in questa intervista padre Federico Trinchero, responsabile delle missioni carmelitane in Centrafrica. “Abbiamo vissuto momenti difficili durante la guerra e quando ero priore del convento di Notre Dame du Mont Carmel a Bangui, la capitale del Paese, ci siamo trovati ad accogliere anche 10mila profughi. Oggi – ci ha detto ancora – la situazione è più calma, ma il nostro impegno di evangelizzazione prosegue, soprattutto cercando di formare sacerdoti nativi del paese, in modo che la Chiesa continui con il motto di san Daniele Comboni: salvare l’Africa con l’Africa”.

Lo scorso 16 dicembre avete festeggiato i 50 anni di presenza in Centrafrica, un lungo percorso. Quali sono le principali opere a cui vi dedicate?

Sono essenzialmente tre. La prima è senz’altro quella che è il motivo per cui siamo venuti qui, l’evangelizzazione. In realtà, sacerdoti cattolici erano già presenti dal 1894, noi siamo arrivati nel 1971 per continuare la loro opera. Siamo distribuiti in due parrocchie, tenendo conto che qui una parrocchia significa un territorio pari a una diocesi italiana e all’interno tante cappelle nei villaggi sparsi nella savana. La nostra attività consiste in opere di educazione, scuole, preparazione di catechisti, aiuto ai più poveri.

Quante scuole avete?

A Bozoum la missione segue 40 villaggi, con 20 scuole dall’asilo al liceo, un centro per orfani. A Baoro abbiamo una scuola di meccanica, nove scuole di villaggio con 1.700 alunni, 5 scuole materne. Naturalmente ci occupiamo anche di esigenze primarie come la costruzione di pozzi d’acqua.

Altre attività?

Abbiamo prodotto un libretto di preghiere e un vangelo tradotti nella lingua locale che sono diffusissimi in tutto il paese, continuiamo a ristamparli. Inoltre, vista la problematica che rappresentano qui in Centrafrica la situazione dei matrimoni e la sessualità, abbiamo prodotto anche dei manuali per i giovani sulla sessualità e l’affettività, corsi di matrimonio e fidanzamento. Dal 1986, poi, ci siamo impegnati nella formazione di religiosi autoctoni, abbiamo aperto un seminario minore e nel 2006 la casa per la formazione dei seminaristi per prepararsi al sacerdozio. Un lavoro molto difficile e faticoso, ma urgente, se vogliamo che l’opera di evangelizzazione prosegua con religiosi del posto, vista la crisi delle vocazioni in Europa.

Il Centrafrica è considerato uno dei paesi più poveri del mondo, attraversato da guerre continue, è così?

Purtroppo sì. Tanti colpi di Stato, nel 2013 è finita la guerra più violenta mai combattuta, dalla quale non siamo ancora totalmente usciti. Sarebbe un paese ricco, grazie all’agricoltura, perché ricco d’acqua e poi il sottosuolo è ricco di oro, diamanti e uranio. Ma il paese arranca e per certi aspetti regredisce. Mancano industrie, infrastrutture, strade, ci sono meno di mille chilometri di strade asfaltate. È un paese governato molto male, si dice che lo Stato esiste solo nella capitale, per il resto i gruppi di ribelli dominano le regioni rurali. Adesso è un periodo un po’ più tranquillo, un anno fa la tensione era molto forte, poi c’è stato un intervento dei mercenari russi che ha liberato molte regioni.

La Compagnia Wagner, che è accusata di molte violenze?

Sì, hanno carta bianca e si sentono autorizzati a fare quello che vogliono, comportandosi in modo violento anche con i civili. Però hanno fatto in pochi mesi quello che l’Onu, che qui dispone di circa 10mila caschi blu, non aveva fatto per anni. Ci sarà un prezzo da pagare, non sappiamo quale sarà, per adesso è arrivata la vodka.

I rapporti dopo anni di guerra con i musulmani come sono?

Eravamo un paese esemplare per la convivenza tra musulmani e cristiani, purtroppo la guerra ha avvelenato i rapporti e ci si guarda ancora con sospetto, ma qualche passo avanti si sta facendo.

Che cosa si dovrebbe fare per far uscire il paese da queste condizioni?

Bisognerebbe che il paese la finisse di dare la colpa agli altri e avesse il coraggio di combattere la corruzione, di fare uno sforzo collettivo di onestà. Le influenze straniere ci sono, però c’è anche una grande responsabilità del popolo e vendersi al primo offerente, come è stato fatto finora, non porta a niente. Manca l’interesse per il bene comune.

Avete avuto casi di Covid?

Il Covid è l’ultimo problema, qui fa più paura la malaria. Il virus ci ha toccato in modo marginale, abbiamo avuto meno di cento morti. Abbiamo una popolazione molto giovane, facciamo vita all’aperto e ci sono poche vie di comunicazione. Solo il 4% della popolazione è vaccinata, ma qui si muore per la malaria e il morbillo: bisognerebbe fare queste campagne di vaccinazione.

Cosa significa essere missionari oggi? Come festeggerete i 50 anni di presenza?

Abbiamo ordinato due nuovi sacerdoti. Essere missionari oggi è quello che ci ha mossi dall’inizio seguendo l’esempio di Santa Teresina di Lisieux. È morta giovanissima senza poter andare in missione, la cosa a cui teneva di più, per cui ci sentiamo quelli che devono realizzare questo suo desiderio: portare il Vangelo dove ancora non è conosciuto. Come diceva lei, la nostra missione è “amare Gesù e farlo amare”.

Che Natale state vivendo, in Centrafrica?

Essere testimoni di questo amore per il quale abbiamo deciso di dare la vita, fare in mondo che gli altri possano conoscerLo. Madre Teresa diceva che la povertà più grande dell’India era non conoscere Gesù, e che era venuta non per i poveri, ma per Gesù. Dobbiamo sfruttare tutte le occasioni che la vita ci dà per mandare segni di amore a Gesù e fare in modo che gli altri possano conoscerLo e amarLo. È  la sola via che può dare al paese sviluppo e pace e una uscita dalla povertà e dalla guerra.