Vatican News ha intervistato padre Federico Trinchero, carmelitano scalzo a Bangui, in Repubblica Centrafricana. Riportiamo l’articolo di Giada Aquilino del 6 aprile 2020.

 

L’audio dell’intervista di Vatican News:

 

L’Onu l’ha inserita tra i 20 Paesi per i quali è prioritaria l’assistenza internazionale per far fronte all’emergenza Coronavirus. È la Repubblica Centrafricana, dove la metà dei circa 5 milioni di abitanti secondo le Nazioni Unite si trova in uno stato di emergenza alimentare. La guerra cominciata nel 2013, con sanguinosi scontri tra milizie Seleka e gruppi anti-Balaka e il rovesciamento del presidente François Bozizé, ha lasciato il passo ad altre violenze, tutt’ora in corso, con due terzi del territorio nazionale controllati da gruppi armati. Eppure è una terra che si prepara a celebrare la Pasqua, con le dovute limitazioni scattate per la pandemia che finora in Centrafrica ha fatto registrare una decina di contagi.

A nome del popolo di Dio

Per evitare gli assembramenti, le chiese sono state chiuse al pubblico, ma con celebrazioni limitate a 15 persone: religiosi e religiose vi prendono parte “a nome del popolo di Dio”, ha evidenziato in una nota il cardinale Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, annunciando l’annullamento dei riti pubblici, dalla Domenica delle Palme di ieri al Triduo Pasquale e alla Domenica di Risurrezione. I vescovi centrafricani hanno intanto raccomandato di far sentire la “prossimità” della Chiesa e di tutta la comunità cattolica a quanti colpiti dal Coronavirus, al personale sanitario, ai volontari, alle autorità che devono prendere “misure difficili” per l’emergenza Covid-19.

La testimonianza da Bangui

Si cerca di dare un “sostegno spirituale” ai fedeli attraverso la preghiera, invocando il Signore affinché “questo virus non arrivi violentemente, perché il Centrafrica non sarebbe assolutamente in grado di gestire un’emergenza dalle proporzioni così grandi come si è manifestata in Europa e altrove”, dice a Vatican News da Bangui padre Federico Trinchero, carmelitano scalzo, da 11 anni missionario nel Paese africano.

R. – La diffusione del virus è stata piuttosto lenta e per il momento è ridotta. Anche qui in Centrafrica la Chiesa è intervenuta, insieme alle direttive emanate dallo Stato, per ridurre la presenza dei fedeli alle celebrazioni. L’indicazione che è stata data alle parrocchie e alle comunità religiose è quella di non fare celebrazioni di qualsiasi tipo con più di 15 persone, quindi in tutti i luoghi, le cappelle, le chiese dove si celebra la Messa bisogna restare sotto questo numero. E questo è stato un colpo pesante per la popolazione perché la Quaresima è molto sentita. In particolare la celebrazione della Domenica delle Palme è stata quest’anno una esperienza molto forte e insieme triste, proprio perché non è stato possibile fare la processione e avere appunto la folla che normalmente partecipa al rito. Ovviamente la Chiesa ha dato delle indicazioni spirituali per vivere questo tempo, che non si sa quanto durerà. La gente è stata invitata a seguire le celebrazioni in diretta attraverso la radio: per esempio nella capitale Bangui, dove mi trovo, ci sono almeno due radio che diffondono momenti di preghiera e Messe. Tali emittenti hanno invitato tutti i sacerdoti dell’arcidiocesi a intervenire nelle trasmissioni per continuare il loro ministero della catechesi e a celebrare liturgie nelle cappelle delle radio stesse, per poi ritrasmetterle agli ascoltatori.

Normalmente, per esempio alle celebrazioni domenicali, quante persone partecipano?

R. – Nella nostra chiesa, il Carmelo di Bangui, che non è una chiesa parrocchiale, di solito la domenica i fedeli sono circa 500, quando sono pochi… Ma nelle grandi celebrazioni arrivano tranquillamente a sfiorare i mille. Ugualmente per la Via Crucis ci possono essere anche 4-500 persone, pure se è una celebrazione infrasettimanale. Nelle parrocchie, dove ci sono anche diverse Messe, la partecipazione è ancora più numerosa: pensiamo al giorno di Pasqua quando normalmente – non quest’anno – vengono celebrati 100 e più battesimi.

Come avverranno in questo tempo di Coronavirus i riti del Triduo Pasquale?

R. – I riti del Triduo sono stati semplificati, secondo le indicazioni della Conferenza episcopale. Quindi ci atteniamo alle disposizioni sia sul numero delle persone sia sul fatto di evitare le processioni o la lavanda dei piedi e altri gesti che potrebbero appunto implicare un contatto fisico. Normalmente le celebrazioni del Triduo Santo in tutte le sue versioni in Africa sono molto coinvolgenti, c’è molta partecipazione e quindi non siamo abituati a Messe brevi, senza una partecipazione forte da parte della comunità cristiana. Ma sappiamo che quelli come noi che hanno la fortuna di poter celebrare “dal vivo” hanno un ruolo di sentinelle, di intercessori per gli altri, sperando che questa situazione non duri troppo.

In questi giorni in cui anche in Africa si è esteso il virus, come avete informato e insieme confortato i fedeli? C’è paura tra la gente?

R. – C’è abbastanza paura, poi soprattutto si era diffusa l’idea che questa fosse una malattia “trasmessa dai bianchi”, perché i primi casi hanno riguardato stranieri. Nel tempo, nei giorni in cui ancora potevamo celebrare con i fedeli presenti, abbiamo cominciato a sensibilizzare la gente soprattutto sull’igiene, sull’importanza di lavarsi le mani. E poi si cerca di dare un sostegno spirituale attraverso la preghiera, per restare comunque uniti, chiedendo al Signore la grazia che questo virus non arrivi violentemente, perché il Centrafrica non sarebbe assolutamente in grado di gestire un’emergenza dalle proporzioni così grandi come si è manifestata in Europa e altrove.

Alcune Ong hanno denunciato che in Centrafrica ci sono solo tre respiratori per una popolazione di quasi 5 milioni di persone. Se ne è parlato?

R. – Sì, la notizia è stata diffusa e sinceramente quando ho saputo di questi tre respiratori per me è stata una “bella” notizia, perché ero convinto che non ce ne fossero. Bisogna comunque vedere se ci siano le persone competenti per utilizzare e gestire questi macchinari. Inoltre c’è da tener conto che i tre respiratori sono a Bangui: il Centrafrica è grande due volte l’Italia e se ci fosse un malato nelle zone più remote, magari a 6-700 km dalla capitale, bisognerebbe organizzare un trasporto, che si potrebbe fare solo con aereo o elicottero, perché molte strade sono impraticabili. E infine bisognerebbe sapere se i respiratori possano essere liberi o già occupati.

Che contraccolpi economici potrebbero esserci nell’anno in cui, a dicembre, sono in programma le elezioni presidenziali?

R. – Paradossalmente, essendo il Centrafrica uno dei Paesi più poveri del pianeta, direi che siamo abituati a vivere normalmente in una situazione di emergenza, oltretutto dopo anni di guerra. Il Centrafrica non ha di fatto industrie, la percentuale è irrisoria, quindi le industrie non si sono fermate, non c’è tutta una popolazione che lavora nelle fabbriche. E bisogna ricordare che nel Paese non ci sono trasporti pubblici, come li intendiamo in Europa. La cosa che potrebbe sicuramente succedere – e qualche segnale c’è già – è l’aumento dei prezzi delle derrate alimentari importate soprattutto da Camerun, Ciad, Sudan.

Da poco è stata rivista la traduzione del Vangelo in Sango: come l’ha accolta la popolazione, soprattutto in momenti come questi?

R. – Da diversi anni in Centrafrica non c’erano copie disponibili del Vangelo, erano esaurite. La prima traduzione era stata fatta molti anni fa, era necessaria quindi non solo una ristampa ma una revisione della traduzione. Questo è stato fatto negli ultimi anni, grazie anche ad alcuni miei confratelli carmelitani e alla collaborazione con la Chiesa locale. Da qualche mese le copie stampate in Italia, grazie pure all’aiuto di tanti finanziatori, sono arrivate e sono state distribuite nelle varie diocesi e poi nelle varie parrocchie. Il Vangelo viene peraltro dato in dono ai catecumeni che ricevono il Battesimo il giorno di Pasqua, anche se la celebrazione del Battesimo è stata ora rimandata a data da destinarsi. Comunque il Vangelo comincia a diffondersi nelle case, a sostenere così la fede e la preghiera di tante famiglie e anche di tanti nuovi cristiani che attendevano da tempo di possederne una copia.

Quale riflessione per questa Pasqua in piena emergenza Coronavrirus, in un Paese che ha vissuto la guerra a partire dal 2013, con violenze che si sono protratte negli anni, ma che al contempo non dimentica la visita del 2015 di Papa Francesco?

R. – Quando ci fu la visita del Papa, Bangui era stata denominata la capitale spirituale del mondo. In quell’ottica, penso che la gente il giorno di Pasqua sarà capace di riaffermare la propria fede nel Cristo Risorto. Gli africani sono abituati alla morte, perché purtroppo è qualcosa che avviene molto frequentemente, anche in età molto bassa, anche nei bambini, ma c’è ancora tanta paura di essa. Allora penso che il giorno di Pasqua debba aiutarci a riaffermare la nostra fede nel Cristo Risorto e quindi a sapere che la morte non può e non deve essere l’ultima parola. Se saremo davvero capaci di vivere questo, se saremo capaci di credere veramente che c’è qualcosa dopo, che c’è una vita eterna, allora penso che sarà stata veramente Pasqua per ciascuno di noi.