Portava con sé una valigia carica di abiti per bambini e diceva che sarebbero serviti per farci aprire le barriere lungo le strade dissestate del Centrafrica. P. Nicolò Ellena m’introduceva in Centrafrica. L’impatto fu forte, indimenticabile, all’interno di una realtà diversa dalla nostra che mi affascina tuttora… Avvenne alla fine degli anni ’80 e fu il primo di numerosi viaggi.

La prima realtà che conobbi fu il carcere di Bangui. I parenti dei detenuti preparavano loro il pranzo fuori dalla prigione, dal momento che il carcere non provvedeva!

Il giorno dopo arrivammo a Bossemptelé, la Parrocchia di p. Nicolò. Ebbi la fortuna di visitare anche le altre Missioni a Baoro, Bouar-Yolé e Bozoum (allora Bangui e Bouar-S. Elia non estivano ancora).

Mi colpì la vita dei missionari scandita dalla preghiera quotidiana, era una vita gioiosa, interamente dedita all’opera di evangelizzazione e di promozione umana dei Centrafricani.

Feci così conoscenza con i nostri missionari: p. Domenico Rossi (all’epoca delegato provinciale, ora in Cameroun) p. Renato Aldegheri (ora in Cielo), p. Carlo Cencio (il veterano) e poi i padri Marcello Bartolomei, Norberto Pozzi, Stefano Molon, Lionello Giraudo, Roberto Nava, Enrico Redaelli… tutti italiani. Il primo Carmelitano Centrafricano, p. Maurice Maïkane, era allora studente a Yolé.

Incontrai p. Anastasio che mi mise in contatto con la CEI di Roma. Proprio alla CEI ho presentato per anni progetti di sviluppo, preparati con il materiale (documenti, descrizioni, dati tecnici etc.) raccolto nel corso dei miei viaggi in Centrafrica. I finanziamenti ottenuti hanno permesso di realizzare opere nel campo dell’istruzione scolastica, della formazione professionale, della produzione agropastorale, della forestazione, della sanità…

Tanti ricordi indimenticabili affollano la mia memoria: le assemblee nei villaggi, piene di bambini, della savana di Bozoum, con cena e pernottamento in loco, in compagnia del catechista Pierre Longin; l’invito a casa sua, per consumare insieme un piatto preparato da sua moglie, su un tavolo coperto da una tovaglia di pizzo bianca, posato sulla terra rossa della sua capanna; la processione con la statua della Madonna il 16 luglio nel palmeto antistante la missione di Bangui, in mezzo alle tende dei rifugiati (allora circa 4.000) che assistevano devoti; gli incontri con le Comunità Carmelitane Secolari di Baoro e di S. Elia.

L’Africa è una terra benedetta, dove il Signore si fa incontrare ad ogni passo. Ringrazio Dio e i Carmelitani che mi hanno condotto lì.

Carlo Polazzini

 

Passano gli anni, la voglia di aiutare non passa mai

Una cartolina per i miei genitori con la foto dell’aereo che mi aveva portato nella Repubblica Centrafricana… era il lontano gennaio 1987. Ricordo i volti all’arrivo in Centrafrica, sconosciuto ai più e soprattutto a me.

All’aeroporto di Bangui c’era molta confusione. Non conoscendo ancora nessuno, p. Anastasio mi diede una lettera da consegnare a chi sarebbe venuto a prendermi. Era l’unico modo per farmi riconoscere. Mi rivolsi a un uomo bianco con una lunga barba, pensando che fosse lui il sacerdote missionario. In realtà si trattava di Norberto, un volontario come me (sacerdote lo sarebbe diventato solo in seguito). Il padre, “quello vero”, era la persona che urlava con i facchini perché era andata persa una valigia destinata ai muratori della missione, il cui contenuto era importantissimo per la costruzione di una chiesa.

Fui indirizzato alla costruzione del Seminario della Yolé, dove conobbi p. Renato Aldegheri, p. Domenico Rossi, Gabriele, un volontario di Monticello d’Alba ma anche Piero Bianco e il Dott. Piccinini.

In quei giorni giunse anche p. Marcello Bartolomei su un’auto carica di malati diretti all’ospedale. Conservo impresso nella mia mente il suo sorriso gioioso.

Da allora sono passati tanti anni, ma la mia voglia di aiutare non è mai venuta meno.

Abbiamo costruito dispensari, lebbrosari, scuole, chiese, ponti, pozzi, acquedotti, la Scuola Agricola di Bangui e l’Oleificio. Io, nel mio piccolo, ho dato fiducia a questi giovani africani che con il tempo sono diventati parte di un’équipe di muratori abili e soprattutto fedeli.

Per me non sono state importanti solo le opere che abbiamo realizzato, ma soprattutto le persone buone e con un cuore grande che ho incontrato in tutti questi anni: le suore delle diverse congregazioni; il giovane medico Marcel Drlík che portò novità, competenze e amore per i bambini nell’ospedale di Bozoum; poi Jeannot, il mio autista, sempre disponibile e premuroso, venuto a mancare troppo presto.  Ricorderò sempre l’ospitalità cordiale dei padri Cappuccini a St. Joseph e l’accoglienza festosa di p. Agostino Delfino. Nonostante le paure e le difficoltà vissute in questi villaggi travagliati da disordini e guerriglie, ho
cercato di portare un messaggio di solidarietà, vicinanza e forza d’animo per incoraggiare i giovani a costruire e studiare per poter un giorno cambiare le sorti del loro Paese. In questi cinquant’anni la Missione Carmelitana ha portato non solo il Vangelo e l’istruzione, ma anche consapevolezza che con il nostro aiuto il popolo può sperare in un avvenire di pace e armonia.

Enrico Massone